Sono in viaggio. Un lungo viaggio che sta accumulando ritardo su ritardo. Siamo arrivati a due ore. Forse è normale, forse era da aspettarselo, ma va beh. Ora mi importa soltanto di arrivare. Prima o poi. Manca ancora qualche ora prima che la mia fermata arrivi.
Il tutto è iniziato con un'ora di ritardo nello scompartimento con un venditore di mozzarelle di bufala sulla 50ina pendolare ogni settimana Milano-Agropoli dove ha le sue bufale e la sua famiglia. È arrivato salutando educatamente e, dopo avermi lasciata mangiare tranquilla, ha iniziato una piacevole chiacchierata rivolgendosi a me sempre dandomi del "voi" mentre mi raccontava dei suoi figli poco più giovani di me e della moglie lungimirante che gli aveva infilato in valigia un maglione in più per il freddo del Nord.
Ad un certo punto entra un altro uomo, non lontano né per età né per origini al mio compagno di viaggio. Quest'uomo, anch'esso venditore di mozzarelle pendolare, aveva conosciuto un paio di anni fa l'altro durante uno dei loro viaggi e da allora in ogni viaggio si perdevano in piacevoli chiacchierate in dialetto stretto.
Non volendomi escludere dalla conversazione, il secondo uomo presentatosi come Agostino, più aperto rispetto al primo, si mette a indagare sul mio viaggio, sulle mie origini e sulla limonata salata da prendere in piazza Cavour una volta arrivata a Messina.
Arrivata l'ora di dormire, Agostino si congeda e poco dopo ci si mette a dormire in uno scompartimento dove, lo ammetto, non si è sentita volare una mosca. Beh, almeno finché non sono arrivati un paio di ragazzi, un maschio e una femmina. Sono saliti verso l'1:30 di notte, quando io ero ancora sveglia, e, dopo qualche scambio di parole in inglese, anche loro hanno preso posto nelle loro cuccette.
Al mattino presto il venditore di mozzarelle è arrivato alla sua fermata. Sono contenta di essere riuscita a salutarlo. Prima di andare, questo, mi ha anche regalato il suo succo di frutta che hanno dato per colazione.
A un certo punto, non lo sapevo, ma un addetto passava a ritirare le coperte. Io, addormentatami tardi e volendo recuperare al mattino l'ho vista come una tragedia e, sarà la faccia stravolta, l'addetto si è convinto a lasciarmi dormire in pace.
Intanto il treno continua ad andare e mi inoltro sempre di più lontana da casa.
Al mio risveglio ho consegnato io stessa le coperte a un addetto piacevolmente colpito. "Sei stata di parola" mi ha detto, nonostante non gli avessi detto niente, ma probabilmente la mia faccia stravolta aveva parlato per me. E dopo avete indagato anche lui sul mio viaggio, torno nel mio scompartimento dove i due ragazzi dalla parlata inglese mi allungano un sacchetto con dentro la colazione che erano passati a consegnare mentre io ero ancora tra le braccia di Morfeo.
Ancora una volta c'è un confronto sui rispettivi viaggi. Sono americani e sono a Firenze per seguire qualche lezione di vari corsi universitari per scoprire qualcosa dell'Italia. Il ragazzo va matto per gli gnocchi al sugo. Mi sorprendo di quanto sia stato facile capirsi e chiacchierare.
Ora, dopo avere messo qualcosa sotto i denti, sono ancora qui, in viaggio, attendendo la mia fermata, ma godendomi il viaggio e ciò che questo in qualche modo ha da offrirmi.
Vite Che Sfrecciano Come Treni
Pubblicato da
La Ragazza Che Scriveva Troppo
on venerdì 14 ottobre 2016
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